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Testi FRANCESCO GUCCINI - PARNASSIUS GUCCINII (1993)


FRANCESCO GUCCINI - PARNASSIUS GUCCINII (1993)

SONGLIST: 
Canzone per Silvia 
Acque 
Samantha 
Farewell 
Nostra signora dell Ipocrisia 
 Dovevo fare del Cinema 
Non Bisognerebbe 
Luna Fortuna 
Parole 
 



CANZONE PER SILVIA 

Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un continente, 
il cielo della Florida � uno straccio che � bagnato di celeste, 
ma il cielo l� in prigione non � cielo, � un qualche cosa che riveste 
il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello stesso niente. 
E fuori c'� una strada all' infinito, lunga come la speranza, 
e attorno c'� un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case, aiuole, 
paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole, 
ma attorno alla prigione c'� un deserto dove spesso il vento danza. 
Son tanti gli anni fatti e tanti in pi� che sono ancora da passare,
in giorni e giorni e giorni che fan mesi che fan anni ed anni amari; 
a Silvia l� in prigione cosa resta? Non le resta che guardare 
l' America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi chiari... 
Gi�, l' America � grandiosa ed � potente, tutto e niente, il bene e il male, 
citt� coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un grande ieri, 
tecnologia avanzata e all' orizzonte l' orizzonte dei pionieri, 
ma a volte l' orizzonte ha solamente una prigione federale. 
L' America � una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura, 
la libert�, e dall' alto fiera abbraccia tutta quanta la nazione, 
per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione 
perch� di questa piccola italiana ora l' America ha paura. 
Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare, 
paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera. 
Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare 
perch� non � possibile rinchiudere le idee in una galera... 
Il cielo dell' America son mille cieli sopra a un continente, 
ma il cielo l� rinchiusi non esiste, � solo un dubbio o un' intuizione; 
mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare l� in prigione 
e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato niente. 
Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto 
o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia 
o quando un acquazzone all' improvviso spezza la monotonia, 
mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la canto... 
Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo: penso a questa donna forte 
che ancora lotta e spera perch� sa che adesso non sar� pi� sola. 
La vedo con la sua maglietta addosso con su scritte le parole
"che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio � uguale a morte", 
"che sempre l' ignoranza fa paura ed il silenzio � uguale a morte", 
"che sempre l' ignoranza fa paura... ed il silenzio � uguale a morte"... 




ACQUE 
  
L' acqua che passa fra il fango di certi canali 
tra ratti sapienti e pneumatici e ruggine e vetri
chiss� se � la stessa lucente di sole o fanali 
che guardo oleosa passare rinchiusa in tre metri.
Si pu� stare ore a cercare se c'� in qualche fosso 
quell' acqua bevuta di sete o che lava te stesso 
o se c'� nel suo correre un segno od un suo filo rosso 
che leghi un qualcosa a qualcosa, un pensiero a un riflesso. 
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa, 
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente... 
E cade su me che la prendo e la sento filtrare, 
leggera infeltrisce i vestiti e intristisce i giardini, 
portandomi odore d' ozono, giocando a danzare, 
proietta ricordi sfiniti di vecchi bambini, 
colpendo implacabile il tetto di lunghi vagoni, 
destando annoiato interesse negli occhi di un gatto, 
coprendo col proprio scrosciare lo spacco dei tuoni 
che restano appesi un momento nel cielo distratto. 
E l' acqua passa e gira e colora e poi stinge, cos'� che mi respinge e che m' attira; 
acqua come sudore, acqua fetida e chiara, amara senza gusto n� colore. 
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa, 
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente... 
E mormora e urla, sussurra, ti parla, ti schianta, 
evapora in nuvole cupe rigonfie di nero 
e cade e rimbalza e si muta in persona od in pianta 
diventa di terra, di vento, di sangue e pensiero. 
Ma a volte vorresti mangiarla o sentirtici dentro, 
un sasso che l' apre, che affonda, sparisce e non sente, 
vorresti scavarla, afferrarla, lo senti che � il centro 
di questo ingranaggio continuo, confuso e vivente. 
Acque del mondo intorno di pozzanghere e pianto, di me che canto al limite del giorno, 
tra il buio e la paura del tempo e del destino freddo assassino della notte scura.
Ma l' acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest' aria bassa, 
ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente...  




SAMANTHA
  
Samantha scende le scale di un policentro attrezzato comunale, 
trentanni e poi l' appartamento sar� suo, o meglio, 
dei suoi genitori che ogni mese devono strappare il mutuo da uno stipendio da fame, 
ma Milano � tanto grande da impazzire 
e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d' aprile, 
ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo urbanistico, 
ma Samantha saltella, non sa d' avere lunghe gambe da cervo 
e il seno, come si dice, in fiore, teso, sopra a un corpo ancora acerbo 
e Samantha, Samantha ancora non sa d' avere un destino da modella 
e corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale quasi donna, quasi bella. 
E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta l� in periferia, 
di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico. 
Lontano il centro � quasi un altro mondo, San Siro un urlo che non cogli a fondo, 
ti taglia un senso vago di infinito panico. 
Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i tuoi pensieri 
e in aria il cielo � un qualche cosa viola carico... 
Andrea � gi� nel cortile, jeans regolari e faccia da vinile, 
giacca a vento come dio comanda e legata al polso la bandana, un piede contro al muro e l� 
l' aspetta perch� vuol parlarle, niente, forse d' amore, ma non sa che dire, 
con le parole quasi lombarde che non sanno uscire 
e si accende rabbioso una Marlboro di alibi 
e si guardano di sbieco, appena un cenno istintivo di saluto, 
ma a Samantha batte il cuore da morire mentre Andrea rimane muto; 
e lei ritorner� con le MS per suo padre steso davanti a qualche canale 
e lui mediter� al bar dietro a una birra che la vita pu� far male... 
E Milano sembra che sia li a abbracciarsi quei due che non sapranno pi� parlarsi, 
solo sfiorarsi in un momento vago e via. 
Samantha presto cambier� quartiere per un destino che non sa vedere, 
e Andrea diventer� padrone d' una pizzeria. 
Ed io, burattinaio di parole, perch� mi perdo dietro a un primo sole, 
perch� mi prende questa assurda nostalgia? 




FAREWELL 
  
E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent' anni portati cos�, 
come si porta un maglione sformato su un paio di jeans; 
come si sente la voglia di vivere 
che scoppia un giorno e non spieghi il perch�: 
un pensiero cullato o un amore che � nato e non sai che cos'�. 
Giorni lunghi fra ieri e domani, giorni strani, 
giorni a chiedersi tutto cos' era, vedersi ogni sera; 
ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale, 
ogni sera l�, a passo di danza, a salire le scale 
e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore, 
quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore. 
Poi gi� al bar dove ci si ritrova, nostra alcova, 
era tanto potere parlarci, giocare a guardarci, 
tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino, 
religione del tirare tardi e aspettare mattino; 
e una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in sentinella, 
la citt� addormentata non era mai stata cos� tanto bella. 
Era facile vivere allora ogni ora, 
chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci, 
e ogni notte inventarsi una fantasia da bravi figli dell' epoca nuova, 
ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova. 
Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa pi� in fondo, 
ci sembrava d' avere trovato la chiave segreta del mondo. 
Non fu facile volersi bene, restare assieme 
o pensare d' avere un domani e stare lontani; 
tutti e due a immaginarsi: "Con chi sar�?" In ogni cosa un pensiero costante, 
un ricordo lucente e durissimo come il diamante 
e a ogni passo lasciare portarci via da un' emozione non piena, non colta: 
rivedersi era come rinascere ancora una volta. 
Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione, 
e il peccato fu creder speciale una storia normale.
Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo, 
sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo. 
E davvero non siamo pi� quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa; 
siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa. 
"The triangle tingles and the trumpet plays slow"... 
Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d' estate 
con qualcosa di fragile come le storie passate: 
forse un tempo poteva commuoverti, ma ora � inutile credo, perch� 
ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me... 




NOSTRA SIGNORA DELL'IPOCRISIA 
  
Alla fine della baldoria c'era nell' aria un silenzio strano, 
qualcuno ragliava con meno boria e qualcun altro grugniva piano; 
alle sfilate degli stilisti si trasgrediva con meno allegria 
ed in quei visi sazi e stravisti pulsava un' ombra di malattia. 
Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar gi� si scorgeva 
e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che piangeva 
e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segn� tempesta, 
ci risvegliammo pi� vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa... 
Il mercoled� delle Ceneri ci confessarono bene o male 
che la festa era ormai finita e ormai lontano il carnevale 
e proclamarono penitenza e in giro andarono col cilicio 
ruttando austeri: "Ci vuol pazienza! Siempre adelante ma con juicio!" 
E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell' Ipocrisia 
perch� una mano lavasse l' altra, tutti colpevoli e cos� sia! 
E minacciosi ed un po' pregando, incenso sparsero al loro Dio, 
sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io... 
La domenica di Mezza Quaresima fu processione di etere di Stato 
dai puttanieri a diversi pollici dai furbi del " chi ha dato ha dato " 
ed echeggiarono tutte le sere, come rintocchi schioccanti a morto, 
amen, mea culpa e miserere, ma neanche un cane che sia risorto 
e i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno 
inamidarono un nuovo pudore, misero a lucido un nuovo sdegno: 
si and� alle prime con casto lusso e i quiz pagarono sobri milioni 
e in pubblico si linci� il riflusso per farci ridiventare buoni... 
Cos� domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa, 
quel lungo mese della quaresima, rise la iena, ulul� la lupa, 
stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni, 
mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi ex-leoni. 
Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l' usato passo 
fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre l�, in basso! 
Poi tutto tacque, vinse ragione, si plac� il cielo, si pos� il mare, 
solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, torn� a pensare... 




DOVEVO FARE DEL CINEMA 

Certo, ha ragione il signore se dice che siamo in un film 
dell' ultimo periodo, 
dove i banditi pentiti confessano se non li processano 
e cos� fra le macchie di sangue la vita � la solita 
e fa "audience" se in pi� c'� la scena del killer che vomita. 
Sa com'�? E' bello fare del cinema 
anche se, l� da imputato, c'� qualcuno che crede di esser nel cinema muto, 
� bello fare del cinema, 
ma piuttosto che sparare siam rimasti nascosti a guardare.
A guardare cos'� che ci aspetta alla fine del tunnel, 
dei riflussi riflessi su certi pacchetti di Camel, 
quando tutto � soltanto un riassunto di modi di dire, 
quattro quarti di noia disposta comunque a finire; 
l' inflazione per� non finisce e ci rende cattivi, 
non c'� niente che valga la pena e cos� siamo vivi. 
Ma che cos'� che ci fa fare del cinema? 
Forse questa depressione o l' istinto di conservazione. 
Noi, si va a fare del cinema, 
quando vivere � un problema rifacciamo da capo la scena... 
S�, devo dire che ha proprio ragione il signore, 
c'� una crisi tremenda che investe l' intero settore; 
� che il pubblico vuole si parli pi� semplicemente, 
cos� chiari e precisi e banali da non dire niente.
Per capire la storia non serve un discorso pi� grande: 
signorina cultura si spogli e dia qui le mutande. 
Sa com'�, lei, deve fare del cinema, 
mica roba pervertita, ma un soggetto che serva alla vita; 
facciamo tutti del cinema, 
ma piuttosto che parlare si rimanga nascosti a pensare... 
Ma il gestore di un piccolo cine di periferia 
mi diceva che � tutta la vita che aspetta un' idea, 
un' idea piccolina che verso il finale si evolve 
nella madre di tutte le storie, l' idea che risolve; 
quel soggetto che senti nell' aria e potrebbe arrivare 
proprio quando hai gi� chiuso il locale e cambiato mestiere: 
sa com'�, � bello fare del cinema, 
tanto, sa, facciamo tutti del cinema... 




NON BISOGNEREBBE
  
Non bisognerebbe mai ritornare: 
perch� calcare i tuoi vecchi passi, 
calciare gli stessi sassi, 
su strade che ti han visto gi� a occhi bassi? 
Non troverai quell' ombra che eri tu 
e non avrai quell' ora in pi� 
che hai dissipato e che ora cerchi; 
si scioglier� impossibile il pensiero 
a rimestare il falso e il vero 
in improbabili universi. 
Eppure come un cane che alza il muso e annusa l' aria 
batti sempre la tua pista solitaria 
e faccia dopo faccia e ancora traccia dopo traccia 
torni dove niente ti aprir� le braccia... 
E rimpiangere, rimpiangere mai. 
Come piovigginano le vecchie cose: 
perch� fra i libri schiacciare rose 
di risa paghe e piene delle spose? 
E buttar via un' incognita e uno scopo,
trascurare il giorno dopo 
come se chiudesse sempre; 
studiar la stessa pagina di storia 
conosciuta gi� a memoria, 
date e luoghi impressi a mente. 
Ma gocciola da sempre sul bagnato, tesoriere dei tuoi giorni, 
di chi ha preso e di chi ha dato. 
E ora dopo ora e dopo un attimo ed ancora 
la poetica consueta � "dell' allora"... 
Primo, non ricordare, 
perch� i ricordi sono falsati, 
i metri e i cambi sono mutati 
per la spietata legge dei mercati. 
E' come equilibrarsi sugli specchi, 
ad ogni occhiata un po' pi� vecchi, 
opachi, muti e deformanti. 
Frugare dentro ai soliti cassetti 
dove non c'� quel che ci metti 
e mai le cose pi� importanti. 
E invece come tutti sempre l� a portarli addosso, a ricercare 
quel sottile straccio rosso 
che lega il tempo assente ed il presente e nella mente, 
tutto questo poi ci si confonder�, 
tutto questo poi ci si... 
Non bisognerebbe mai ricordare...  




LUNA FORTUNA 
  
Notte calda come tante vicino al fiume che canta, 
aria piena del barlume di un lume fioco in distanza 
e di lucciole sfuggenti con cui la notte si ammanta. 
E si ammanta di fantasmi o di un ricordo lontano, 
mentre al buio della notte che mi trascina per mano 
cerco i segni delle piante che mi circondano piano. 
Piano, all' ombra della notte, mi sembri fatta di fumo, 
sento appena il tuo calore ed il tuo strano profumo 
con l' odore del tuo corpo e in questo io mi consumo. 
Ma dal monte all' improvviso spunta la bianca luna 
e ogni cosa in un istante schiarisce e non � pi� bruna: 
questa luna esagerata ci procurer� fortuna. 
La fortuna di un amante � un fiore d' esile stelo, 
una favola inquietante, fugace e fragile velo, 
il respiro di un istante che scomparir� nel cielo. 
Cielo e luce all' infinito come se fosse di giorno, 
mondo magico fiorito che mi risplende d' intorno, 
io ti sfoglio con le dita e indovino il tuo contorno. 
Il contorno del tuo corpo ora si � fatto reale, 
� qualcosa bianco e vero, bello da far quasi male 
e si insinua in un pensiero che all' improvviso m' assale: 
contro il cielo trasformato sorride un' altra luna, 
ma io so quale � la vera, l' altra non � pi� nessuna: 
questa nuova luna piena mi procurer� fortuna... 




PAROLE 

Parole, son parole, e quante mai ne ho adoperate 
e quante ancora lette e poi sentite, 
a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate, 
sputate, a tanti giri, riverite, 
adatte alla mattina, messe in abito da sera, 
all' osteria citabili o a Cortina e o a Marghera. 
Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle 
e in aria le facciamo rimbalzare 
e se le cento usate sono in fondo sempre quelle 
non � importante poi comunicare, 
� come l' uomo solo che fischietta dal terrore 
e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore. 
Mio caro amore, si � un po' come commessi viaggiatori 
con campionari di parole e umori a ritmi di trecento e pi� al minuto; 
amore muto, beati i letterari marinai, cos� sul taciturno e cerca guai, 
cos� inventati e pieni di coraggio...
Io non son quei marinai, parole in rima ne ho gi� dette 
e tante, strano, ma ne faccio dire 
nostalgiche, incazzate, quanto basta maledette, 
ironiche quel tanto per servire 
a grattarsi un po' la rogna, soffocati dal collare 
adatto per i cani o per la gogna del giullare. 
Poi andare sopra un palco per compenso o l' emozione: 
chi non ha mai sognato di provare? 
Sia chi ha capito tutto e tutto sa per professione 
ed ha un orgasmo a scrivere o a fischiare, 
sia quelli che ti adorano fedeli, senza intoppi, 
coi santi non si scherza, abbasso il Milan, viva Coppi! 
Amore sappi, beato chi ha le musiche importanti, 
le orchestre, luci e viole sviolinanti, non queste mie di fil di ferro e spago; 
amore vago, mi tocca coi miei due giri costanti 
fare il make-up a metonimie erranti: che gaffe proprio all'et� della ragione... 
E s� son tanti gli anni, ma se guardo ancora pochi, 
Voltaire non ci ha insegnato ancora niente, 
� questo quel periodo in cui i ruggiti si fan fiochi 
oppure si ruggisce veramente 
ed io del topo sovrastrutturale me ne frego; 
chi sia Voltaire, mi dite? Va beh, dopo ve lo spiego. 
E se pensate questi i vaniloqui di un anziano, 
lo ammetto, ma mettiamoci d' accordo 
conosco gente p�a, gente che sa guardar lontano 
e alla maturit� dicon sia sordo 
perch� i rincoglioniti d' ogni parte odian parecchio 
la libert� e la chiamano "vagiti", o "ostie" d'un vecchio. 
Amore a specchio, � tanto bello urlare dagli schermi, 
gettare a terra falsi pachidermi coprendo ad urla il vuoto ed il timore. 
Qui sul mio onore, smetterei di giocar con le parole, 
ma � un vizio antico e poi quando ci vuole per la battuta mi farei spellare... 
E le chiacchiere son tante e se ne fan continuamente,
� tanto bello dar fiato alle trombe 
o il vino o robe esotiche rimbomban nella mente, 
esplodono parole come bombe, 
pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia, 
ghirlande di semantica e gran tango dei mass-media. 
Dibattito in diretta, miti, spot, ex-cineforum, 
talk-show, magazine, trend, poi T.V. e radio, 
telegiornale, spazi, nuovo, gadget, pista, quorum, 
dietrismo, le tangenti, rock e stadio 
deviati, bombe, agenti, buco e forza del destino, 
scazzato, paranoia e gran minestra dello spino. 
Amore fino, lo so che in questo modo cerco guai, 
ma non sopporto questi parolai, non dire pi� che ci son dentro anch' io, 
amore mio, se il gioco � essere furbo e intelligente 
ti voglio presentare della gente e certamente presto capirai... 
Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate 
che tiran gi� i palazzi dei coglioni, 
pi� sobri e pi� discreti e che fan meno puttanate 
di me che scrivo in rima le canzoni, 
i clown senza illusione, fucilati ad ogni muro, 
se stan cos� le cose dei buffoni sia il futuro. 
Son quelli che distinguono parole da parole 
e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina, 
che fanno i giocolieri fra le verit� e le mode, 
i Franti che sghignazzano a dottrina 
e irridono ai proverbi e berceran disincantati: 
"Fr� Mina e Fr� Mercuzio son parole, e non son frati !" 



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