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El contagg

Giuliàn, m’avria detto nonno oggi,
mò t’el dico io co è el contagg, t’el dico anicò.

Le parole, Giuliàn, han drenta magie ciughe ciughe.
Foco, bestia, fame: el pensi, el dici, diventa el ver.
El contagg n’è minga cò de malattie,
è nta un gioco, com el piattarell.

Conta i giorni uno a un, drenta ccasa,
e nisciù se moa do sta.
Guarda che bel, fora alla finestra:
la salute e el tempo bon non stufa mai.

Conta i giorni e sparagna fiate,
come l’inverni conta el carcerate.
Pol durà, ma el contagg è el stess,
conta e conta, se ne va in tel cess!

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La dama del sale

La dama del sale spense finalmente la luce; mentre si addormentava, ripensò al libro che stava leggendo, una storia di sangue e delitti che invece di spaventarla le conciliavano il sonno.

La dama del sale era responsabile di tutto il sale perso in cucina. Non se ne accorgeva mai nessuno, ma a misurare attentamente il sale utilizzato, ne mancava sempre una certa quantità, come se fosse evaporato. In realtà l’aveva preso lei, era il suo destino. Passava di casa in casa, quando non c’era nessuno, e ne prendeva un mucchietto dal barattolo.

Preferiva quello fino, perché si scioglie prima. Dopo aver raccolto sale a sufficienza, se era una bella giornata, si incamminava verso il mare; da dovunque partisse, lo raggiungeva sempre in meno di un’ora. Arrivata al mare prendeva il sale dalle sue pesanti tasche, mucchietto a mucchietto, e lo gettava in acqua. Ne teneva solo un po’ per sé, qualche pizzico, che usava in casa per cucinare.

Quella notte fece un sogno strano. Sognò un signore alto che voleva convincerla a suonare il pianoforte. Da piccola era molto brava al piano, ma poi aveva smesso perché non aveva più tempo. Allora il signore alto le disse »fammi sentire cosa ti ricordi« e le indicò il piano, in un angolo dietro di lei.

Il signore alto era l’uomo che sapeva tirare fuori il meglio delle persone e che, per contropartita, non poteva fare a meno di innamorarsene. Le aveva guardato le mani, le dita lunghe e affusolate, le unghie curate, i polpastrelli un po’ sbucciati. Le aveva parlato con semplicità, l’aveva convinta.

L’aveva guardata di nuovo, mentre accarezzava i tasti del piano, tutt’uno coi suoi ricordi; aveva seguito le dita prima timide poi aristocratiche cercare i tasti nella memoria fino a spingersi ad indovinarli nell’armonia. Seguendo la musica si avvicinò e risalì con lo sguardo sulle sue braccia, alle spalle e al collo; ognuno sentiva il fiato leggerissimo dell’altro, quasi con la paura d’essere tradito da un attimo di silenzio. Lei voleva voltarsi di scatto, ma si volse lentamente, incrociando prima il busto di lui poi il colletto della camicia che s’incurvava, come se lui stesse per abbracciarla.

La dama del sale si svegliò di colpo, quasi sorridendo, con una strana inquietudine e una domanda in mente: scupèreno?